sabato 2 luglio 2011

Oasis - Lee Chang-dong


Può la mano di un regista dipingere nello stesso istante le aspre venature della crudeltà umana e la delicata immagine di un amore puro e disinteressato come quello dei due giovani protagonisti di questo film? A quanto pare la mano di Lee Chang-dong è capace di tutto questo.


Lui, giovane ex galeotto colpito da un lieve ritardo mentale, e lei, giovane fanciulla affetta da paralisi celebrale; reietti, ripudiati e respinti dalle rispettive famiglie, mosse esclusivamente da crudele egoismo, per niente propense ad accettare quello che la società ha già bollato come “scarto", interessate solamente al proprio tornaconto personale e alla conservazione della propria dignità; troppo occupati, i suoi membri, a giocare a fare gli adulti per comprendere che a volte il mondo ha bisogno di essere osservato con gli occhi innocenti di un bambino per apparire più digeribile. E di questo sono consapevoli i due giovani protagonisti, abituati ad osservare ciò che li circonda con una purezza, una spensieratezza e un’innocenza tipicamente infantili, trascinati di volta in volta nel profondo baratro sociale, ma capaci sempre di salvare se stessi per ritornare  a vivere il loro amore candidamente.

Sullo sfondo una società dominata da xenofobia e pregiudizi, in cui la legge del più forte si erige a totem; una sorta di darwinismo sociale in cui il più forte, il più accettato e il più integrato vince su colui etichettato come “disadattato”.
E’ qui che Chang-dong trova la forza di rovesciare tutto questo mettendo al centro della vicenda la storia d’amore tra due reietti e trasformando il loro amore in un’ancora di salvezza di fronte all’abominio umano.
Un amore che si nutre di sogni, di ideali, di immaginazione e che, nel momento un cui incontra la realtà, si trova a scontrarsi con l’intolleranza comune e con le pseudo regole di istituzioni chiamate a vigilare e ad operare a favore del più forte; un amore che si nutre di poesia, la stessa poesia con cui Chang-dong trasforma i riflessi di luce di uno specchio in piccole farfalle bianche e in una candida colomba; un amore che trascende pregiudizi e razzia sociale, un’oasi di salvezza le cui acque purificano e cancellano il fango nel mondo circostante.
Rami secchi da estirpare coloro che hanno dimenticato il vero senso della solidarietà, della fratellanza e dell’amore.



Lee Chang-dong con un linguaggio iconico, metaforico e simbolico ci trascina in una piccola oasi di poesia e bellezza che poco ha a che vedere con il degrado morale ed etico della società contemporanea; la sua mano è capace di coniugare ed amalgamare gli aspetti, così distanti e contrastanti, dell’animo umano, portandoci ad odiare, e contemporaneamente ad amare, noi stessi in una danza che oscilla tra umanità e disprezzo.
Mostrandoci e documentando come l’animo umano possa essere capace di gravi sgarbi, in realtà, ci da una grande lezione: l’amore non conosce né discriminazioni né definizioni.
Bisogna solo imparare a guardare nella profondità di ognuno di noi per capire che in fondo non siamo poi così diversi. Non sarà un handicap a renderci meno capaci di amare, meno capaci di gesti così drasticamente delicati e premurosi; se imparassimo a guardare meglio ci renderemmo conto di essere circondati da tante piccole oasi capaci di dare refrigerio alle nostre piccole vite.



Valeria

2 commenti:

  1. Bellissimo film, Valeria. Nel 2002 fu uno dei primi film coreani che arrivarono in Italia e che ci permisero di prendere conoscenza con una delle cinematografie più interessanti del decennio. Brava!

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